IL RUOLO DEL VOLONTARIATO IERI, OGGI, DOMANI

IL RUOLO DEL VOLONTARIATO IERI, OGGI, DOMANI

(Spunti per una comune riflessione dal lavoro di un gruppo tecnico composto da Rosanna Canova, Angelo Paganin, Diego Cason e Paolo Capraro riguardante una ricerca svoltasi qualche anno fa in tutto il territorio della provincia di Belluno e se avete voglia di leggere vi accorgerete come tutto sia attuale e contemporaneo nelle nostre vallate dolomitiche).

Grazie e buona lettura Paolo Capraro

I mutamenti intervenuti nelle realtà comunitarie bellunesi impongono una riflessione sul futuro delle associazioni di volontariato e sul mantenimento della loro capacità operativa.

In alcuni casi emergono problemi nel reclutamento di nuovi volontari, in altri casi si registra una sofferenza delle associazioni per un eccesso di attese nei loro confronti, in altri casi ancora si verifica una difficoltà nel rapporto con la pubblica amministrazione che tende ad assegnare incarichi e compiti impropri alle associazioni di volontariato, in alcuni casi emerge invece una difficoltà nel ricambio dei leader delle associazioni.

Tutti questi segnali hanno imposto una riflessione sugli effetti che hanno i cambiamenti avvenuti sulla struttura e sulle attività dei volontari.

I mutamenti più rilevanti che hanno effetto diretto sulle associazioni e sulla loro attività sono le seguenti:

  1. L’invecchiamento della popolazione accresce il numero delle persone che esprimono bisogni e, contemporaneamente fa diminuire il numero degli attivi più giovani in grado di rispondere a questi bisogni.
  1. L’aumento dell’età pensionabile riduce il tempo in cui il pensionato rimane attivo e quindi a disposizione delle associazioni di volontariato per costituirne la struttura organizzativa stabile.
  1. L’instabilità del lavoro costringerà gli attivi a svolgere più attività contemporaneamente riducendo in questo modo il tempo disponibile per attività gratuite in seno al volontariato.
  1. Il ritardo del matrimonio e nella nascita del primo figlio (in media le primipare oggi hanno 31 anni contro i 23 anni del 1971) impone a molti neopensionati di dedicare le proprie cure all’allevamento dei nipoti riducendo così il tempo disponibile per le attività volontarie gratuite.
  1. Le famiglie bellunesi sono sempre più piccole e in esse si rende sempre più necessario il lavoro di entrambi i coniugi che, riduce il tempo a disposizione per la cura dei figli e dei genitori, specialmente se bisognosi di accudimento particolare, farà crescere il bisogno di servizi alla persona.
  1. La pubblica amministrazione locale ha sempre meno risorse proprie disponibili per garantire la tutela dei diritti dei cittadini, in particolare in aree montane, perciò cercherà, in diversi ambiti, di utilizzare sempre di più la disponibilità a farsi carico dei problemi comuni che caratterizza il volontariato bellunese.

Prima di ogni considerazione è necessario chiarire il ruolo del volontariato.

  1. Le associazioni non possono essere intese solamente come soggetti che erogano servizi a costi inferiori rispetto alla pubblica amministrazione e ai soggetti privati che, a vario titolo, producono e vendono servizi simili. Una cultura dominante che considera ogni prestazione e ogni bene scambiato una merce tende a far apparire le associazioni di volontariato come uno dei tanti soggetti che producono merci nel proprio interesse. Invece, come ogni volontario sa bene, l’elemento distintivo dell’attività volontaria la gratuità e l’assenza di interessi economici delle associazioni.
  1. L’attività delle associazioni produce cultura della solidarietà e della cittadinanza attiva, oltre a costruire l’identità delle comunità locali. Quest’aspetto è spesso sottovalutato e invece è necessario ribadire che ogni cittadino ha (o avrebbe) l’obbligo ad impegnarsi (in quello che può) per garantire la propria comunità una rete di relazioni di mutuo aiuto gratuito. Non è pensabile che i bisogni di una comunità possano essere soddisfatti solo dall’attività dell’ente pubblico e delle imprese private, poiché ci sono bisogni relazionali che non possono essere soddisfatti da merci e ognuno, all’interno delle reti di relazioni nelle quali è inserito, può fare la propria parte per garantirne, in parte, la manutenzione e il rafforzamento.
  1. Negli ultimi anni in molti hanno preferito delegare quasi completamente ad altri la cura delle comunità in cui essi vivono e dalle quali ricevono ogni giorno sicurezza, protezione, tutela dei diritti e soddisfazione dei bisogni. Appare sempre più evidente che questo modello tendente ad assegnare sempre e soltanto ad altri la responsabilità di fare ciò che serve per il benessere collettivo non può funzionare. Le associazioni di volontariato, in particolare, non possono essere chiamate a sostituire in tutte le circostanze in cui sia necessario, l’impegno che ognuno deve avere nella cura e nell’incremento dei beni comuni.
  1. I volontari, lo dice la parola, decidono personalmente e liberamente quello che possono e vogliono fare, gratuitamente e disinteressatamente per la propria comunità. Non è pensabile che a essi siano affidati compiti che li costringano a offrire prestazioni continuative e certe, tipiche del servizio pubblico. È necessario chiarire che non spetta al volontariato la garanzia della tutela dei diritti pubblici dei cittadini, questo è un compito specifico ed esclusivo dell’ente pubblico. Sappiamo che nell’attuare questi servizi la pubblica amministrazione ha adottato il principio della sussidiarietà e quindi ogni soggetto è chiamato a integrare e sostenere l’azione pubblica ma proprio qui sta il problema, i volontari possono essere chiamati a integrare e collaborare, non possono essere chiamati a sostituire l’attività amministrativa degli enti pubblici.
  1. I volontari non s’impegnano per ottenere riconoscimenti o retribuzioni, nella loro attività non è rilevante la prestazione ma la relazione con i fruitori, che non sono clienti o utenti ma persone con le quali si costruiscono relazioni significative e affettive, basate sul dono reciproco. I volontari, quando agiscono in modo associato, non fanno beneficenza ma praticano lo scambio gratuito che dà senso alle relazioni che costruiscono. La gratuità non significa costruire relazioni a senso unico, in cui il volontario da e l’altro riceve, ma relazioni in cui entrambe le parti ricevono dei doni l’una dall’altra. La qualità di questa relazione e il benessere che ne deriva sono la vera paga del volontario. Il sen- so del suo agire sta tutto nel saper, sia pure di poco, con il suo agire gratuito migliorare la qualità della vita di tutti noi.
  1. Fare il volontario è una scelta gioiosa che fa bene a chi lo pratica e a chi lo riceve, è fonte di gratificazioni personali, assegna status e ruolo sociale a chiunque vi partecipi, accoglie ogni contributo, piccolo o grande che sia, senza stabilire gerarchie e, insieme ai contributi che ognuno può dare, accoglie le persone, trova loro un compito e una funzione (modesta o rilevante non ha alcuna importanza). In questo modo dà senso all’agire di ognuno, riempie di benevolenza le relazioni quotidiane, riscatta dalla marginalità, rafforza lo spirito di collaborazione, mobilita la solidarietà e riduce l’angoscia prodotta dalla solitudine e dalla erosione della riconoscibilità sociale.

Osservando lo sviluppo del volontariato negli ultimi anni è evidente la crescita della complessità dei ruoli e quindi delle funzioni di tipo organizzativo e gestionale richieste per operare con qualità e continuità. Il volontariato ha cambiato la visione della propria identità e dei valori che fondano la cittadinanza. Per mantenere il ruolo e le funzioni delle organizzazioni di volontariato e dei volontari occorre concentrarsi sugli aspetti culturali e identitari avendo chiari valori, compiti e attività. É necessario programmare e progettare con oculatezza, individuare e sorvegliare i bisogni consolidati ed emergenti del territorio, acquisire, curare e valorizzare la risorsa umana e fare una buona comunicazione.

Il volontariato produce vantaggi per l’intera società e per i singoli volontari. Permette di mettere a frutto le proprie capacità e ampliare le proprie reti sociali, valorizzare le competenze. Per cogliere il valore del tempo donato e del bisogno soddisfatto, che riflettono le motivazioni di base dell’agire volontario, è necessario migliorare la qualità delle attività all’interno delle strutture organizzative perché con le attività di volontariato si acquisiscono competenze e capacità in un processo di apprendimento continuo.

Data questa premessa serve chiarire quali erano, all’inizio di questa iniziativa, gli obiettivi che avevamo in mente.

Essi erano sostanzialmente due:

  1. qual è la consapevolezza del ruolo del volontariato nella società checambia;
  2. stato dell’arte delle soluzioni/risposte ai nuovi problemi/bisogni individuati dal volontariato.

Essi emergevano da due preoccupazioni che si avvertivano essere nella mente dei volontari:

Come assicurare il ricambio dei volontari nelle associazioni favorendo il reclutamento dei giovani?

Con quali strumenti è possibile proporre l’adesione a un’associazione di volontariato?

Come assicurare la creazione di nuovi leader in sostituzione di quelli che, inevitabilmente, dovranno essere sostituiti?

Che tipo di leader servono alle associazioni, come individuarli, formarli e permettere loro di fare esperienza?

Nel condurre gli incontri che abbiamo posto alla base di questa riflessione eravamo consapevoli di alcune questioni.

  1. La prima era che l’universo del volontariato bellunese è un insieme complesso, nel quale esistono associazioni di volontariato che fanno cose molto diverse tra loro, l’assistenza alla persona, il trasporto a chiamata di anziani e disabili, la Protezione civile, le attività di promozione locale, l’assistenza economica alle famiglie e gli individui in stato di bisogno, ecc. Questo insieme di associazioni agisce con strutture organizzative, strumenti, procedure, obiettivi e relazioni molto differenti tra loro. Pensavamo allora, e ne siamo ancora più convinti ora, che non è possibile cercare di ricondurre a un modello unitario, standard l’agire dei volontari e delle loro associazioni. Non è una buona idea perché la creatività e la radicale differenza riscontrata nelle associazioni, sono segno di vitalità, di capacità di adattamento alle diverse situazioni, di elasticità e di capacità nell’individuare bisogni emergenti e di dare risposte diverse da luogo a luogo. Questa varietà è un elemento di forza del volontariato bellunese e non va artificiosamente ridotto. Certamente è necessario migliorare le relazioni tra associazioni e la collaborazione reciproca, offrire servizi ed esempi di buone pratiche in modo più capillare e più trasparente ed infine condividere in modo più frequente e sistematico le esperienze accumulate dalle diverse associazioni e metterle a disposizione di tutti gli altri.
  1. La seconda era che le associazioni non sono imprese, non sono enti pubblici, non sono cooperative e per questo non si possono applicare ad esse tecniche di organizzazione di tipo aziendalistico e amministrativo perché il volontario svolge la propria attività sulla base di motivazioni strettamente individuali estranee alla logica economica, legate alla propria disponibilità di tempo determinata da proprie condizioni personali e da proprie libere decisioni. Perciò, pensare di motivare i volontari esistenti o di reclutarne di nuovi, adottando tecniche motivazionali aziendaliste o di promozione e propaganda commercia- le sarebbe del tutto inadeguato e controproducente. Promozione, propaganda e pubblicità non sono funzionali al reclutamento di nuovi volontari, sono strumenti inadeguati in con- trasto con il contenuto del messaggio poiché il mezzo è parte del messaggio.
  1. I volontari e le associazioni fanno già tutto quello che possono. Non ci appare utile chiedere loro di più, proporre loro di raggiungere obiettivi più ambiziosi o stabilire a tavolino traguardi da raggiungere o superare.
  1. Per affrontare i problemi posti eravamo convinti che fosse necessario il coinvolgimento del maggior numero di associazioni, perché i problemi comuni possono essere risolti solo con il contributo, fin nella fase di analisi, di tutti i volontari disponibili ad impegnarsi in una riflessione. Da questo punto di vista possiamo già trarre una prima positiva conclusione, tutti volontari che abbiamo incontrato, in modi diversi, hanno contribuito a chiarirci meglio le idee, a correggere alcuni pregiudizi che avevamo, a individuare elementi sui quali non avevamo riflettuto o che erano stati completamente trascurati.

Durante gli incontri sono emerse le seguenti considerazioni:

  1. C’è una diffusa preoccupazione per l’indebolimento dei valori fondanti il volontariato.
  2. Si avverte il pericolo di strumentalizzazione che il volontariato sta correndo, in particolare, il rischio di un utilizzo finalizzato a ridurre i costi dei servizi e di un’eccessiva importanza attribuita all’efficienza da parte delle istituzioni (a vantaggio delle grandi organizzazioni di volontariato e a scapito dei piccoli gruppi).
  3. Emerge la consapevolezza che le istituzioni non sempre mettono in grado il volontariato di partecipare ai momenti di concertazione e/o programmazione.
  4. É avvertito il peso della burocrazia (privacy, sicurezza, rendicontazione) a volte eccessiva che soffoca le organizzazioni di volontariato, in particolare quelle di piccole dimensioni.
  5. É emersa la difficoltà di coinvolgere i giovani, attribuita spesso a carenze della scuola, che non promuove la partecipazione a esperienze di volontariato.
  6. É stata più volte richiamata la necessità della promozione della cittadinanza attiva e della partecipazione, insieme alla tutela dei diritti delle persone più deboli.
  7. I volontari hanno spesso espresso con forza un ruolo del volontariato, ossia la promozione di una cultura fondata sulla solidarietà, come elemento irrinunciabile.
  8. È diffusa l’esigenza di favorire una maggiore efficienza organizzativa.
  9. In molti casi è evidente l’esigenza di una maggiore autonomia economica e finanziaria.
  10. I volontari considerano importante anche l’autonomia della propria organizzazione e in questo senso auspicano che nei rapporti con le amministrazioni pubbliche sia più indipendente e abbia maggiori libertà di azione.

Sotto di esse ci sono alcuni nodi strutturali che si dovranno affrontare e cercare, almeno in parte, di sciogliere.

  1. La motivazione ideale che sorregge il volontariato è il dono e l’aiuto reciproco. Come coniugare queste motivazioni con la necessità di risorse per affrontare le inevitabili spese assunte per produrre e distribuire i servizi?
  2. Le associazioni di volontariato sono una rete complessa di relazioni. Reti che servono a tre scopi: migliorare i servizi, diffondere le buone pratiche, e dare rappresentanza agli interessi del volontariato.
  3. Come consolidare queste reti senza omologare e ricondurre il tutto a modelli standard che ridurrebbero la resilienza delle organizzazioni e dei volontari?
  4. Come diffondere il dovere di cittadinanza attiva, l’assunzione di responsabilità solidali diffuse, la cura dei beni comuni e contemporaneamente consolidare le attività delle associazioni di volontariato, come rendere le seconde uno strumento per la diffusione delle prime “virtù civiche”?
  5. Come gestire la contraddizione tra “anarchia” delle motivazioni e necessità della disciplina e della efficienza organizzativa, specialmente nel rapporto con le istituzioni e nella produzione di servizi frutto di accordi e di convenzioni con l’ente pubblico locale?
  6. Come evitare che le associazioni e volontari indotti dal loro spirito caritatevole e responsabile assumano compiti e funzioni che non competono loro e che li espongono a rischi economici, giuridici ed etici piuttosto pesanti? Come regolare l’erogazione di questo tipo di servizi?

Le questioni che abbiamo appena ricordate si possono riassumere nei quattro nuclei di discussione che abbiamo proposto nel secondo giro di incontri a tutte le associazioni del territorio. Tali oggetti di discussione sono stati:

 Il ruolo politico del volontariato.

 Lo stato delle relazioni con istituzioni e altre associazioni di volontariato.

 La questione della gratuità e della gratificazione.

 Carattere valori e i limiti dei servizi erogati dall’associazione.

  1. Il ruolo politico delvolontariato.

Cosa intendiamo per ruolo politico del volontariato? Proviamo a chiarire questo concetto per evitare malintesi. I volontari praticano la solidarietà al fine di ridurre le sofferenze indotte dalla povertà, dalla emarginazione dei soggetti più deboli della società. Ciò induce ogni volontariato a interrogarsi sulle cause del disagio sociale e delle diseguaglianze ingiustificate. A questo si può reagire in molti modi, nel volontariato essi sono i seguenti:

  1. intervento ad alleviare la sofferenza o a dare risposte immediate;
  2. riflessione sulle cause che producono le diseguaglianze fonti di sofferenza;
  3. critica delle cause culturali, socio-economiche e istituzionali dell’emarginazione.

I tre tipi di reazione inducono tutti a valutare, sia pure in modi diversi, il proprio ruolo politico, che consiste nel farsi carico dei problemi e della responsabilità dell’agire per il loro superamento.

Lo si voglia o no, il limitarsi a dare risposta a bisogni sociali emergenti significa, anche se involontariamente, conservare le cause e mantenere inalterate le condizioni di esistenza dei problemi.

La politica non è funzione esclusiva dei partiti e delle istituzioni. I cittadini volontari che si fanno carico dei bisogni sociali, danno loro rappresentanza, svolgono il dovere di controllo, critica e denuncia, assumono un ruolo attivo nella vita democratica, sviluppano la capacità di proporre soluzioni fanno atti continui di protagonismo politico. Che ne siano o meno consapevoli, nel nostro caso la seconda ipotesi è quella più frequente.

Prendersi cura degli interessi dei più deboli non si limita a un’azione a tutela di una minoranza ma esprime una visione generale della società, in sintonia con l’articolo tre della carta costituzionale che dice:

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni per- sonali e sociali. É compito della Repubblicarimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana…” Concetto ribadito poi negli artt. 36, 37, 38.

Riportare al centro dell’attenzione politica e sociale la realtà dell’emarginazione impone di ridefinire la questione del bene comune che può realizzarsi solo nella condivisione con il contri- buto di ogni persona. Certo, il volontario può svolgere questo compito cercando di intervenire con le proprie forze laddove è per lui possibile. Le associazioni, invece, comprendono come sia necessario nelle decisioni comunitarie modificare le priorità scegliere dove investire le risorse disponibili e decidere se orientarle in una direzione o in un’altra. Questa consapevolezza è emersa in diverse occasioni durante gli incontri realizzati. Si manifesta quando si esprime una critica alle pubbliche amministrazioni, rilevando le difficoltà che esse incontrano nel garantire i diritti dei cittadini, quando si lamenta la loro scarsa attenzione per le attività del volontaria- to, quando si denuncia il sempre più frequente ricorso ai volontari per svolgere i compiti propri dell’ente locale, eccetera.

Anche in sistemi democratici è possibile che la rappresentanza dia voce solo interessi forti, ca- paci di tutelarsi e proteggersi nelle sedi istituzionali, gli interessi dei deboli e degli emarginati possono trovare rappresentanza solo se il volontariato saprà assumere la responsabilità della critica, della denuncia, quando è necessaria, e una propria capacità di proporre progetti e soluzioni ai problemi che rileva e che affronta con i propri mezzi e la propria disponibilità.

In questo modo il volontariato non può limitarsi alla realizzazione di servizi ma dovrebbe sa- per elaborare la propria esperienza e contribuire alla realizzazione degli interessi generali dei cittadini. Anche in questo caso il ruolo politico del volontariato non è in contrasto con il patto costitutivo di cittadinanza perché la costituzione, all’articolo due afferma:

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”

Perciò, se l’obiettivo è il bene comune, da perseguire con adeguate politiche sociali, è necessario il cambiamento dei comportamenti, costruire rapporti di solidarietà e di reciproca responsabilità pubblica.

In tutti i volontari è ben chiara la percezione che servirebbe un modello d’integrazione sociale, fondato sulla solidarietà tra i soggetti pubblici e privati che operano nelle comunità, per garantire una sufficiente e dignitosa protezione degli interessi di tutti cittadini, in particolare di quelli che hanno, per le condizioni difficili in cui si trovano a vivere, più difficoltà a tutelare da sé i propri interessi.

Se il volontariato vuole avere in futuro le condizioni per svolgere adeguatamente la propria funzione dovrà assumere su di sé anche la responsabilità di contribuire al cambiamento, esercitando un ruolo politico, proponendosi come soggetto esemplari di nuova cittadinanza solidale e sviluppando un ruolo di coscienza critica e di promozione democratica. Agire nella comunità per ridurre emarginazione povertà significa ridurre l’insieme dei bisogni ai quali il volontariato stenta sempre più a trovare un’adeguata risposta.

Assumere il ruolo politico, per noi, significa prenderci quella parte di responsabilità civile in- dispensabile per dare rappresentanza ai bisogni che il volontariato intercetta e tenta di soddisfare alla luce dei criteri giuridici della cittadinanza attiva. Ciò può essere realizzato in molti modi diversi, secondo le sensibilità e le necessità delle comunità nelle quali si opera.

  1. Lo stato delle relazioni con istituzioni e altre associazioni divolontariato.

Questo secondo punto è stato il più controverso nelle discussioni che abbiamo fatto insieme. Esso sostanzialmente riguarda le pratiche relazionali con le istituzioni della pubblica amministrazione, con le altre associazioni di volontariato, tra volontari e con il centro servizi. Ognuna di queste merita un’attenzione particolare poiché è stato oggetto di discussione in più occasioni.

  1. La prima, con le istituzioni è di sicuro quella più rilevante per i problemi che crea alle associazioni di volontari. L’aspetto centrale consiste nel fatto che le pubbliche amministrazioni in particolare i comuni e le ULSS tendono a utilizzare le associazioni di volontariato come soggetti produttori di servizi sostitutivi di quelli invece che corrispondono a precisi doveri istituzionali degli enti. Questo crea diversi tipi di problemi che vi propongo in elenco:
    1. Le convenzioni con gli enti pubblici sono atti vincolanti che impongono alle associazioni il dovere di garantire determinati servizi, in un certo territorio, per un certo periodo. Questo irrigidisce l’offerta che l’associazione è in grado di garantire ed entra rapida- mente in contrasto con lo spirito del volontariato che, di per sé, è libero e, in una certa misura, anarchico. Si segnala come, in certi casi, lo strumento della convenzione è indispensabile (è il caso del trasporto collettivo e del trasporto a chiamata, o della protezione civile e la donazione di sangue…) poiché è costitutivo dell’attività principale del- l’associazione e anche perché, con i rimborsi spese, rende possibile un’attività che, altrimenti, l’associazione non sarebbe in grado di erogare.
    2. Le convenzioni introducono la necessità del rimborso spese che, di per sé, non entra in contrasto con la gratuità del servizio, poiché nessun volontario e nessuna associazione trattiene per sé un cent dei rimborsi. Però la relazione con il denaro, associata alla formalizzazione in una specie di rapporto di servizio, crea diversi problemi nell’immagine pubblica dei volontari che possono apparire come persone che svolgono un’attività re- tribuita dall’amministrazione.
    3. Lo stretto rapporto con la pubblica amministrazione permette a quest’ultima di intra- vedere le potenzialità dell’attività dei volontari e tende a chiederne sempre di più l’utilizzo. Essi, generosi per natura, tendono a non individuare con precisione il confine oltre il quale non devono andare; durante le discussioni tuttavia, è emerso con chiarezza che i due limiti da non superare sono quelli definiti dalla sussidiarietà dell’azione del volontario (finché non sostituisce il servizio pubblico ma lo integra è attività accettabile) e quello definito dal criterio della responsabilità (e volontario non può assumersi responsabilità che siano da ricondurre a soggetti dotati di competenze o di rapporti funzionali di pubblico impiego).
    4. Il rapporto di collaborazione con gli enti pubblici è, generalmente, cosa necessaria e positiva, tuttavia, bisogna fare attenzione che non diventi un legame di dipendenza troppo stretto, tale da impedire alle associazioni di esprimere il controllo e la critica liberamente. Quest’ aspetto, emerso solo in modo indiretto durante gli incontri, appare però di grande rilevanza, le associazioni non vedono con particolare benevolenza un rapporto troppo stretto con le amministrazioni pubbliche e con le forze politiche che le governano perché temo, a ragione, di essere senza danno ambientale. La legislazione italiana (142/90 sulle autonomie locali, 241/90 sul procedimento amministrativo, 266/91 legge quadro sul volontariato) registra la necessità di superare o limitare la separazione fra l’agire pubblico e privato. Eliminare questo dualismo significa garantire più spazio all’attività dei cittadini sia nell’ambito del volontariato sia nell’ambito del terzo settore, chiarendo però che c’è una notevole differenza tra funzione e servizio. La funzione istituzionale, a garanzia di diritti del cittadino, non può essere delegata e le associazioni non dovrebbero in nessun caso assumere i compiti di questo genere. I ser- vizi, invece, possono essere delegati, o svolti secondo i criteri della sussidiarietà ogni volta che ciò è vantaggioso per il bene comune.
  2. L’ultima questione su cui si è riflettuto, definendo i rapporti con la pubblica amministrazione è il carico notevole di adempimenti burocratici, amministrativi e contabili che appesantiscono la responsabilità delle leadership delle associazioni rallentandone l’attività ostacolandone l’operatività pratica e producendo un diffuso senso di frustra- zione tra i volontari.
  1. Le relazioni tra associazioni sono generalmente di buona qualità e piuttosto frequenti, non sono rari esempi di collaborazione proficua e costante tra loro. Restano numerosi i casi in cui diverse associazioni agiscono sullo stesso territorio, in ambiti di servizi abbastanza simili senza trovare un terreno di collaborazione comune che sarebbe utile al fine di ridurre gli oneri e condividere gli strumenti gestionali delle proprie attività. In generale si chiede che la rete di queste relazioni migliori, acquisendo trasparenza, procedure e metodi adeguati per garantire a ogni associazione la propria autonomia operativa e contemporaneamente favorire la condivisione di buone pratiche, l’accesso a servizi comuni, soprattutto il punto di vista amministrativo e la condivisione dei progetti.
  1. Le relazioni tra volontari sono di buona qualità ed esiste tra loro uno spirito solidaristico consolidato dall’attività svolta insieme che fa emergere un clima di sostanziale fiducia reciproca. Ciononostante, pur apprezzando la capacità operativa delle associazioni, emergono critiche in relazione alla capacità di riflessione sul proprio operato, sulle proprie motivazioni individuali, sulle ragioni strategiche che inducono ad aderire a una associazione. Assume rilevanza anche un’altra critica, riferita a un eccesso di concentrazione sul fare che, in qualche misura, limita un approfondimento consapevole sulla qualità delle interazioni tra volontari e tra di essi e le persone che utilizzano i servizi erogati. Questo fatto fa emergere un aspetto positivo, ovvero la consapevolezza che le relazioni, anche quando le si critica, sono un aspetto centrale della vita associativa ma, soprattutto, del modo con il quale si eroga il servizio alle persone che lo utilizzano. Più volte, durante gli incontri, è emerso il valore centrale di questa relazione con i fruitori dei servizi, perché la qualità di questa è l’elemento che remunera e gratifica il volontario. La cura la manutenzione di queste relazioni è inoltre un ottimo antidoto contro adesioni strumentali, magari rivolte a garantirsi opportunità occupazionali può colmare i bisogni propri del volontario invece di essere orientati al dono a favore del fruitore di servizi. L’unico rilievo critico emesso nei confronti di volontari è riferibile a loro scarsa attitudine ad assume- re responsabilità dirigenziali, a curare la qualità della comunicazione, ad occuparsi del reclutamento di nuovi associati, particolarmente giovani.