Al “batifàldìn”
Durante una delle mie solite passeggiate, ho sentito in lontananza un battito continuo di martellamento, ritmato a tempo, al rumore di ferraglia. La cosa mi ha subito incuriosito, man mano che mi avvicinavo al luogo del presunto ticchettio, mi domandavo che cosa potesse essere. Il mio interesse fu subito premiato, seduto su un muretto all’interno del giardino di una casa in quel di Rivamaor, Gino stava battendo al “fàldìn”, attrezzo che adoperavano gli agricoltori per la falciatura dei prati. Ben piantato sulla “zòcà” de legno, la famosa “pianta”, (aggeggio sicuramente sconosciuto ai più giovani,),) stava facendo il filo alla lama del “fàldìn” de so fradèl.. La tecnica, ormai conosciuta da pochi, consiste nel rifare il filo alla lama del “fàldìn), quando questa a forza di falciare si è consumata o rovinata colpendo terra o sassolini.
Battendo con l’apposito martelletto la lama, (ben impugnata per non tagliarsi), proprio sul colmo della “pianta”, battito dopo battito, partendo sempre dalla base del manico per arrivare alla punta, e avanti così affin’che si vede che il filo è ben sottile e tagliente, una buona affilatura poi, con la “prìa”, e il gioco è bellefatto.
. Con l’entrata in funzione del decespugliatore i “battifàldìn” sono rimasti veramente in pochi a continuare la tradizione di un passato, quando a primavera si udivano questo incessante ticchettio per le contrade e per i verdi prati della nostra vallata. Una volta si andava a mano, oggi invece si va a miscela. Brào Gino…
Pavei Ennio