Di solito, il mare ai miei tempi, diciamo pure che si vedeva col binòcolo. Ma però diciamo pure che neanche a Visome ci si faceva mancare nulla, riguardo a bagni.
Per prima cosa, di solito i più grandi, percorrevano in lungo ed in largo il tratto del nostro torrente Turriga dalla Volpère fino all’incrocio con il Cicogna, sotto il pittoresco borgo di Rivamaor.
Questo difficile compito stava nel trovare il posto ideale per dare inizio ai lavori per la costruzione del tanto atteso “bòjòn”. Compito di grande importanza, consisteva innanzitutto nel trovare la risacca giusta, ombreggiata, possibilmente a ridosso di qualche briglia sassosa, per eventuale trampolino, magari trovare anche che il Turriga lì, facesse trovare già in loco, una naturale cascatella d’acqua, spiegherò più avanti per che cosa. Una volta scoperto il posto esatto, riunita la squadra di bòcìe, pura manovalanza, ma con tanta voglia di fare e di tirarsi su le maniche, si dava inizio, sotto l’attenta perizia del sovraintendente di turno, come detto il più anziano e più saggio, all’inizio dei lavori per la costruzione della mega-piscina.
Dopo il sit-in in loco con tutti i partecipanti nonché azionisti dell’impresa, la prima squadra si metteva subito all’opera, la prima operazione da farsi consisteva nel trasportare a valle della pozza un gran numero di sassi, grandi possibilmente ma anche di tutte le dimensioni e posizionarli in linea ma con leggera ricurva a monte. La seconda squadra cercava a mani nude di strappare delle belle fette di zolle terricce, che lì vicino non mancavano mai, sterpaglie e quant’altro servisse per la diga artificiale. Il colmo sarebbe stato trovare dei pezzi di nàjlòn…, ma al quel tempo introvabili, forse qualche sacchetto di plastica, ma difficile da reperire pure quelli, dunque meglio cose non inquinanti, eravamo in ogni circostanza sempre ecologici al massimo. La terza squadra aveva il compito di ripulire il bòjòn dalle immondizie che purtroppo anche a quel tempo fiorivano dappertutto, tipo scatole di tonno, bottiglie, panni, scatolami vari, ecc. Con bastoni e rastrelli riuscivano a fare piazza pulita di tutto quello che vi era dentro sul fondo.
Se le squadre avevano qualche sponsor forse si poteva avere in dotazione anche dei badili e delle vanghe, ma difficile anche quelli, non abbondavano e a casa servivano, ma comunque andasse sul far della sera i lavori potevano essere terminati con grande soddisfazione si riusciva a vedere il nostro mare.
Poi, gli ultimi ritocchi dei rifinitori, ragazzi più grandi e il bòjòn era pronto. Dopo averlo ammirato e rimirato, scoprendo le falle che lasciavano trapassare troppa acqua e averle otturate in qualche ingegnoso modo, si rincasava già pregustando l’appuntamento dell’indomani.
Giorno dopo, bellissima, calda e afosa giornata di pieno estate, ci si recava al mare, invece era àl bòjòn de la cascata de Nino, che andava per la maggiore visto che aveva anche il trampolino per i tuffi a due misure d’altezza.
Non ci mancava niente, ombrellone?; stànga di nosèlèr con in cima legate da revesoì delle pèche de mùs a raggiera, ombrìa da pàr tuti i càntoì.
He, he, he…, anche il materassino, era di moda, na ànta den bàlcòn, magari pitùrada de vèrt, e te podea stàr sìcùr che nol se sbùsea, sempre bèl sgiònfà.