La situazione locale, nazionale ed in particolare internazionale non è delle migliori, occorre tatto, diplomazia, confronto e analisi per risolvere alla base determinate problematiche che ahimè portano sempre alla maledetta guerra con distruzione e tanta e tanta inutile sofferenza.
Ci si domanda che cosa posso o possiamo fare, per cui prendendo carta e penna, provo a trascrivere alcune riflessioni, prendendo lo spunto dal materiale che utilizzo nelle lezioni di formazione generale nell’ambito del percorso dei giovani al servizio civile universale.
Uno dei principali obiettivi è quello di sensibilizzare la capacità di ascoltare delle persone che non è per nulla una cosa facile, per cui provo a mettere in luce alcune importanti indicazioni che sono:
- la rigidità;
- il soffocamento protettivo;
- la pedagogia della violenza che vuole eliminare il conflitto;
- la contrarietà, finché c’è conflitto c’è anche comunicazione e relazione.
Facile a dirsi, però facendomi aiutare dalle descrizioni di H. Gardner:
“i bambini che nell’infanzia hanno l’opportunità di scoprire molte cose sul proprio mondo e possono farlo in modo facile ed esplorativo accumulano un inestimabile capitale di creatività su cui potranno contare per tutta la vita, mentre quelli che vengono ostacolati nelle proprie attività di scoperta e costretti a muoversi soltanto in una direzione o quelli in cui viene inculcata l’idea che la risposta giusta è una sola e che il compito di stabilire quale essa sia spessa esclusivamente alle persone dotate di autorità, hanno possibilità molto più scarse di non riuscire mai a muoversi con autonomia”.
E’ evidente che chiunque di noi in merito a tutto ciò può già trarre alcune interessanti deduzioni della proprio vissuto, ascoltandosi e rivivendo alcune esperienze specifiche e determinate che nell’ambito genitoriale, uno dei lavori più difficili e belli, noi possiamo conseguentemente constatare e concretizzare nella propria familiarità con: “ l’elogio della fuga”, di H. Laborit:
“Ad ogni modo, se vi imbattete in qualcuno che sostiene di sapere come si debbano allevare i bambini, vi consiglio di non affidare i vostri”
Ecco, perché ho sempre trovato valido il lavoro dei gruppi di auto aiuto con le famiglie nel campo delle dipendenze, dove le singole persone nei rispettivi ruoli, riescono ad incrementare piano piano la loro determinazione di cambiamento e di risoluzione ai rispettivi loro problemi, favorendo la chiarezza, la volontà e la corresponsabilità.
Ritorniamo per favore ai bambini e troveremo una traccia valida e senz’altro utile dettata da R.D. Laing, “Conversando con i miei bambini”:
“Le cose sui bambini le impariamo soltanto dai bambini”
Bene, ora, riguardando la nostra unica e vera ricchezza, cioè l’esperienza personale, nel lungo cammino del nostro esistere, nasce spontanea una considerazione che possiamo trarre nel rapporto di F.Olivetti Manoukian tra “Adulto e bambino”:
“che educare significa capire”
Dove avviene la scomparsa dell’infanzia; dove non è la madre che si adatta all’infante, ma è il bambino che si adatta alla madre: la creatività, infatti, è propria di tutti coloro che non copiano e non sono compiacenti, ma crescono in un modo genuino raggiungendo un modo personale di autoespressione.
Emerge con chiarezza, se vogliamo il seguente slogan. “Nel falso Sé, la creatività è compromessa”.
Di fatto, al falso Sé, per quanto ben strutturato, manca qualcosa e questo qualcosa è l’elemento centrale essenziale dell’originalità creativa.
Continuiamo a scavare, ad andare in profondità nel nostro ragionamento ed è interessante rovistare far diversi autori e ricercatori, vedasi ad esempio, Sheila Kitzinger che scrive:
La famiglia è il luogo in cui i bambini per la prima volta imparano che cosa sono il potere e
l’autorità e come possono essere esercitati.
Ciò che si insegna ai figli in termini di obbedienza o in termini di autonomia e indipendenza
verrà poi trasferito alla sfera politica.
Che tipo di cittadini vogliamo che diventino i nostri figli.
Facciamoci aiutare, approfondendo con un altro autore Montagu nel “Il buon selvaggio”:
“oggi è risaputo che la grandissima maggioranza di coloro che picchiano i bambini sono stati a loro volta picchiati o trascurati quando erano bambini. E’ risaputo che coloro che sono stati emozionalmente deprivati da bambini probabilmente diventeranno adulti aggressivi. Ed è anche risaputo che chi da bambino è stato adeguatamente oggetto d’affetto assai probabilmente diventerà un adulto affettuoso e non-aggressivo”.
E rituffandoci per trovare possibili soluzioni ai conflitti ecco che emerge la nonviolenza, basta rivedere con Pat Patfoort:
“nell’educazione nonviolenta dobbiamo sforzarci di essere umili per capire che non possiamo mai obbligare o costringere, che non possiamo essere i padroni di nessuno. Non possiamo cambiare i bambini o farli diventare quello che noi vogliamo, ma possiamo influenzarli. Non possiamo agire o decidere al loro posto. Il bambino può giungere a una decisione diversa da quella voluta dal genitore. Il fatto che questo occasionalmente accada è il nostro modo di controllare che l’educazione che impartiamo è nonviolenta invece che manipolatoria ed autoritaria”.
Pensa e ripensa nella propria messa in discussione, perché non farci aiutare da Alice Miller:
“Se si è capaci di ammettere i propri errori davanti al bambino e di scusarci con lui per aver perso il controllo, allora le confusioni non s’ingenerano. Se una madre è capace di spiegare al figlio che, sì, è stato l’amore che prova per lui a farle perdere la pazienza, ma anche che è stata travolta da sentimenti estranei, che non hanno niente a che vedere con lui, allora il figlio può conservare la mente lucida, si sente rispettato ed è in grado di orientarsi nel rapporto che ha con la madre”.
Avendo raccolto suddetti ingredienti, possiamo evidenziare alcuni modelli educativi che
nascondono in definitiva molta più “politica” di quanto si è soliti pensare ma purtroppo
alla questione non si è mai data l’importanza che merita, lo sottolinea J.Sèmelin
(ricercatore francese della nonviolenza):
“l’adulto condiziona il bambino, fin dai primissimi anni, a sottomettersi al suo punto di vista, impartendogli una precoce lezione che resterà poi un tratto dominante della personalità del futuro uomo. Simile precoce educazione all’autorità si innesta sull’evidente dipendenza del bambino, fisica ed affettiva, durante la prima infanzia. I genitori, per ottenere l’obbedienza, giocano, più o meno inconsciamente, sull’angoscia che il bambino ha di essere abbandonato, minacciandolo di toglierli il loro nome, se non si sottometterà. Gli adulti, a volte senza accorgersene, sfruttano la dipendenza psico-affettiva del bambino, la incrementano e la perpetuano, una generazione dopo l’altra. Diventando adulto, non sarà difficile per il bambino sottomettersi ai grandi, ai padri della nazione, allo stato”
Ecco, anche in questo particolare momento storico, politico, se vogliamo possiamo vedere quale concreta e reale indicazioni ci sono alla base di possibili soluzioni ai problemi che può portare la nonviolenza politica, vediamo l’esempio:
è la fondazione di una diversa concezione del potere,
una visione in cui il potere è sempre vincolato alla reciprocità e al consenso.
Ne segue in una logica di approfondimento le seguenti indicazioni esplicite di G. Sharp :
“il potere detenuto dagli individui e dai gruppi che si trovano ai più alti livelli di comando di decisione di un qualsiasi governo non è intrinsecamente loro, ma deriva da altri. Il potere del governante dipende dalla continua disponibilità di questa collaborazione, non solo da parte dei singoli dipendenti, funzionari, impiegati o simili, ma anche di tutte le organizzazioni e istituzioni che compongono il sistema nel suo complesso”.
Allora, per costruire una società nonviolenta e democratica è necessario che l’individuo si appropri del proprio potere, che è prima di tutto una forza che bisogna acquisire ed esercitare su se stessi. Un potere quindi che si pone come obiettivo quello di costruire una personalità che si liberi dalla paura, e diventi capace di agire con coraggio, di autorealizzarsi, di essere autosufficiente, e non dipendere pertanto dagli altri, e di avere una profonda identità basata sul rispetto di sé.
Diventa senz’altro un principio basilare, quanto segue:
“consentire ai bambini l’esercizio del proprio potere,
dando loro giusta possibilità di fare scelte e di prendere decisioni”.
Proviamoci e riflettiamoci, aiutandoci a costruire una volontà partecipativa, creativa in un particolare momento storico, in cui occorre molta energia, sinergia e tanto entusiasmo.
Grazie della lettura
Paolo Capraro